Libertà delle religioni

«Europa Socialista», a. II, n. 9, 20 aprile 1947, p. 16.

LIBERTÀ DELLE RELIGIONI

In risposta ad un intervento di L. Preti e in relazione ad un mio emendamento sull’art. 14 dedicato alla libertà di religione, il deputato democristiano Mortati ha parlato a lungo, e con dottrina giuridica, in favore del mantenimento della dizione del progetto di costituzione come adatta a tutelare insieme il diritto di libertà religiosa e i diritti dell’«ordine pubblico e del buon costume».

Difatti è su quest’ultima precisazione, comune a molte costituzioni anche recenti, ma non a quelle dei grandi stati moderni, che ci si può contrapporre in uno dei tanti dialoghi che le sinistre piú coerenti nel loro laicismo leale e moderno intavoleranno nel corso della discussione di costituzione con i democristiani, e con quei loro alleati di destra la cui outrance tocca spesso in questo campo i limiti del ridicolo. Si dice che la formula che noi vorremmo sopprimere è una formula in realtà pleonastica, in quanto in ogni caso i culti che offendessero ordine pubblico e buon costume ricadrebbero in ogni caso sotto le sanzioni del codice e dei regolamenti di polizia, mentre d’altra parte la sua menzione affermerebbe in maniera piú solenne una tradizionale limitazione.

A parte il fatto che l’argomento primo si capovolge facilmente proprio nel senso che la garanzia che la libertà non divenuti «licenza» è contenuta nelle normali tutele legali (a proposito delle quali in altro momento sarebbe poi il caso di piú approfondito esame), dovrebbe apparire evidente a qualsiasi coscienza comunque religiosa che proprio quei limiti polizieschi menzionati nella nostra carta costituzionale umiliano le confessioni e gettano una strana luce sui culti religiosi che si possano supporre cosí barbarici o sostanzialmente irreligiosi. È vero che l’on. Nobile, indipendente comunista, ha addirittura proposto che la formula sia rinforzata con l’aggiunta anche stilisticamente piuttosto curiosa di «riti stravaganti», accennando a riti di negri, adoratori di serpenti e persino in questo caso ai pericoli assai consistenti di decessi in seguito a morsi del dio irato.

Ma, in verità, se non si vuole indulgere alle ipotesi di un viaggiatore ed a possibilità un po’ salgariane piuttosto lontane dalla mentalità medie anche dei ceti piú rozzamente superstizioni in Italia, bisognerebbe d’altra parte ammettere quanto difficile sia giudicare quali possano essere i riti stravaganti; e non occorrerà in proposito riferirsi ad un interprete alla Volney o alla Voltaire ma ad un qualsiasi razionalista poco dotato di senso storico. E ci pare che per la questione del buon costume i cattolici, la cui religione è posta nella costituzione praticamente in stato di privilegio, farebbero un doveroso atto di generosità e di riconoscimento poco costoso verso quelle confessioni minori su cui graverebbe oltre tutto questa inutile umiliazione.

Ma ben piú importante e grave si fa il discorso quando ci si rivolge alla reale portata del limite posto alla libertà di culto dal riferimento all’ordine pubblico. Chi potrà persuaderci che l’esperienza di un recente passato sarà cancellata da una diversa pratica illuminata e tollerante? Perché certamente fu sempre con questa formula equivoca dell’ordine pubblico che il braccio secolare operò contro la propaganda e le possibilità di culto di quelle confessioni protestanti che osarono mettersi sulla strada del proselitismo e della concorrenza con l’organizzazione ecclesiastica cattolica. Lo zelo inopportuno di funzionari di polizia accoppiato a quello anche piú riprovevole di qualche pastore d’anime cattolico sono sempre pronti ad operare in senso illiberale nei confronti delle minoranze religiose, e una dichiarazione solenne della Costituzione convaliderebbe idealmente ciò che anche nella pratica periferica dovrà essere modificato perché una libertà fondamentale non sia piú negata con un pretesto cosí facile e cosí farisaico come quello dell’ordine pubblico.

Gide segnalava con disgusto nel suo Journal (13 agosto 1931) un articolo dell’Osservatore Romano in cui, deplorando le cerimonie in onore di Shelley a Bagni S. Giuliano, si ammoniva in qualche modo il governo italiano a far meglio il suo dovere di tutore dei diritti della religione cattolica in Italia. Non vorremmo che sulla base dell’art. 7 e della formula dell’art. 14 si potessero presto chiedere al governo repubblicano interventi e limitazioni contrari al fondamento stesso del nostro Stato.